Note

L'organizzazione del commercio marittimo veneziano

<<Una prima, fondamentale distinzione è quella fra la navigazione commerciale <<de comun>> sulle galere da mercato e sulle cocche, organizzata e regolata dallo stato con il sistema delle <<mude>>, e quella privata e "libera", che si avvaleva di ogni altro tipo di nave, su rotte diverse e secondo regole non altrettanto rigorosamente stabilite ad ogni nuovo viaggio. Mentre la documentazione su questo secondo tipo di navigazione è assai frammentaria, per quanto riguarda la navigazione "statale" si dispone invece di numerose fonti ufficiali, in base alle quali è stato possibile ricostruire modi, regole e tempi del commercio veneziano.

Dopo la "rivoluzione" - secondo la nota definizione di Lane - della navigazione veneziana del secolo XIV, avvenuta sulla spinta di una profonda riorganizzazione commerciale dei trasporti per mare e su quella di alcune importanti innovazioni tecniche (costruzione navale, bussola), i convogli di galere "pubbliche" salpavano da Venezia per due <<viazi>> all'anno, il primo a primavera, con rientro in estate, e il secondo in autunno, con ritorno in città a dicembre. Le principali destinazioni delle <<mude>> erano i porti della rotta di Fiandra (che comprendeva uno scalo a Londra), della rotta di Barbaria (verso i porti africani ed europei del Mediterraneo occidentale), della rotta detta del <<trafego>> (che copriva gli scali fra Tunisi e Alessandria d'Egitto), della rotta di Alessandria e Beirut, della rotta di Siria (dedicata quasi esclusivamente al commercio del cotone) e infine della rotta della Tana e di Romania (così veniva allora chiamata la Grecia orientale), in un sistema di trasporti e di relazioni commerciali che veniva in tal modo a coprire l'intero Mediterraneo, il Mar Nero, e i principali porti dell'Europa atlantica e settentrionale.

Le galere da mercato restavano agli ordini di un <<capitaneus>> eletto dal Maggior Consiglio fra i membri del patriziato, il quale era responsabile sia della parte commerciale, che di quella nautica, che ancora di quella militare della spedizione. Le navi, che erano di proprietà dello stato, venivano noleggiate ad appaltatori patrizi, i <<patroni>>, nel corso di una battuta d'asta, chiamata <<incanto di galere>>, a seguito della quale venivano poi fissati diritti e doveri economici e commerciali di quanti partecipavano al <<viazo>>. Le condizioni della <<muda>>, quelle generali come quelle particolari, potevano essere stabilite in diverse sedi che, facendo riferimento a statuti e a consuetudini di antica tradizione, definivano i diritti e i doveri sia dello stato, che noleggiava le galere, sia dei privati.

Il testo di una commissione ducale ai capitani di tre galere per Beirut, datato 20 febbraio 1490, stabiliva ad esempio, fra i molti altri elencati, i seguenti punti: al viaggio avrebbero partecipato le galere Calba, Pollana e una galea appena varata, tutte e tre <<laudade per i proti nostri bone et navigabile>>; i <<patroni>> dovevano partire entro il termine del mese di febbraio, ed erano tenuti a unirsi, una volta giunti a Beirut, con le due galere del Trafego; ma poiché si riteneva che neppure in questo modo fosse possibile trasportare tutte le spezie che si prevedeva di dover imbarcare, una nave tonda, che prestava servizio nell'armata, era stata destinata ad accompagnare le galere di Beirut. La partecipazione a tali imprese procurava poi alcuni vantaggi a quanti vi partecipavano; la commissione stabiliva infatti che scrivani, balestrieri, <<compagni, maistranze et bombarieri [...] et similiter le zurme de dicte galie>>, avessero diritto, al ritorno da quel viaggio, ad imbarcarsi per il Levante <<per do mude senza altra ballotation>>.

Era fatto obbligo ai <<patroni>> di assoldare due <<penesi>> (ufficiali addetti allo stivaggio) per ogni galera, in quanto uno stivaggio malaccorto poteva mettere a repentaglio la sicurezza delle merci e degli uomini, soprattutto in caso di tempesta. Lo scrivano della <<muda>> aveva l'obbligo di presentare ai Savi agli Ordini un elenco degli uomini imbarcati sulle navi, con nomi, cognomi, <<segni et contrasegni>> di ciascuno, e tutti i ruoli di bordo dovevano essere coperti, per assicurare al convoglio le necessarie difese <<sì da corsari come dal mar>>. A parte si dovevano elencare gli uomini da remo, che dovevano essere contati una prima volta subito prima di uscire dal porto, e una seconda volta allo scalo di Pola; nemmeno i <<patroni>> potevano sottrarsi a questi controlli, ed erano tenuti a partecipare personalmente al viaggio, non potendo rinunciarvi <<né per malatia, né per alguna altra causa salvo che in caso de morte>>.

La commissione prosegue ribadendo in maniera assai energica una questione che doveva essere materia di frequenti dispute fra i marinai e gli ufficiali, quella del cibo; pare infatti, <<per vie più autentiche>>, che sulle galere non vi fosse pane a sufficienza, <<cum maxime querele et mormoration di galeoti>>. Un altro motivo di lamentela era dovuto all'abitudine da parte dei <<patroni>> di pagare i marinai non al ritorno a Venezia bensì a Modon o a Corfù, espediente che consentiva loro di sottrarsi al controllo pubblico e di pagare l'equipaggio <<quel li par [...] contro la volontà de epsi homeni>>.

Era fatto divieto esplicito di stivare le merci nelle parti proibite, come <<pizuol, scandoler et altri luogi>>, sotto la pena di dover pagare doppio nolo, ed ancor più era vietato stivare in coperta contenitori rotondi e cerchiati, come le botti o gli <<arnasi (barili) de mazor tenuta de VI secchi>>, per il <<pericolo evidentissimo de rompersi>> che correvano le navi che trasportavano grandi barili in coperta. Questo pericolo era ritenuto tanto rilevante che la pena prevista per il capitano o il <<patrono>> della nave che avesse contravvenuto a tale disposizione era il bando dalla città per un periodo di cinque anni. Agli stessi <<patroni>> era per contro fatto obbligo di tenere a bordo tutte <<le sue arme et bombarde>>, <<soto pena de ducati trecento per uno et de privation de patronie et sopracomitarie per anni dieci>>; dovevano inoltre essere imbarcati cinque balestrieri per ogni galera, con un salario di due ducati e mezzo al mese per ciascuno. Alla sicurezza "tecnica" della navigazione provvedevano invece sei <<marangoni>> e quattro calafati per ogni nave. Gravissime sanzioni erano poi previste per quegli ufficiali di bordo che avessero avuto partecipazione economica propria al viaggio, ed è questa la ragione per la quale gli ufficiali di bordo venivano <<balotadi>>. Era ancora fatto divieto ai <<patroni>> di <<portar gondola in galia>>, ed essi dovevano altresì bandire dalle navi la pratica della bestemmia.

Ma il punto sul quale il documento torna con maggiore insistenza riguarda il divieto di caricare merci in parti della nave diverse da quelle previste; tale insistenza è dovuta, come già detto, sia a ragioni di sicurezza, essendo una nave sovraccarica più esposta al mare, sia a ragioni economiche: i trasporti effettuati in più rispetto a quelli previsti dalla stazza "ufficiale" della galera, potevano infatti procurare ai <<patroni>> introiti che sfuggivano all'esenzione dei dazi di dogana, soprattutto quando tali beni venivano smerciati negli scali intermedi. Per evitare questo rischio e questo dolo ai danni dello stato - in quanto tutto ciò che veniva trasportato sulle pubbliche galere era soggetto al pagamento del dazio - il capitano della <<muda>> aveva l'obbligo di compiere un'ispezione della nave in compagnia del cappellano di bordo, prima che il convoglio fosse giunto in Istria, e annotare in un apposito registro tutte le merci risultate eccedenti rispetto a quelle ufficialmente trasportate dalle galere. Non era questo del resto il solo "imbroglio" praticato a bordo, tanto è vero che un paragrafo della commissione prevede pene e sanzioni nei confronti dei responsabili di una <<dannata et iniqua consuetudine, che dada la prima paga a le zurme, li paroni de quelle prendono el resto dei denari, et lassano i officiali et maistranze et balestrieri senza alchun suffragio>>. Per rimediare a tali irregolarità, il capitano della <<muda>>, al ritorno dal viaggio, doveva fare una <<publica crida>> in Rialto, per chiamare ad eventuale reclamo tutti coloro - <<homo da remo, balestrier, bombardier come compagno, comito, paron o maistranze>> - che avessero subito tale danno.

Queste e molte altre norme riguardanti gli aspetti commerciali, amministrativi e nautici del viaggio, per come sono elencate e descritte nella commissione, danno l'idea di rapporti estremamente formalizzati, nei quali ciascuna competenza, ciascun ufficio, ciascuna professione avevano compiti, doveri, diritti e prerogative ben determinate. È vero che queste stesse norme dovevano essere in molti casi disattese o contraddette, come denuncia il testo stesso della commissione, ed è vero che il documento del quale si è qui presentata una breve sintesi risale alla fine del sec. XV, epoca nella quale il sistema delle <<mude>> era ormai prossimo al tramonto; i principi generali che regolavano l'attività, i modi dell'organizzazione anche spicciola, l'attribuzione delle responsabilità, il continuo bilanciamento fra le esigenze del commercio e quelle della burocrazia e molti altri elementi che si leggono fra le righe di queste prescrizioni lasciano tuttavia ben intendere - ed è per questo scopo che si è ritenuto interessante riportarli qui - in quale "sistema" di relazioni professionali e sociali si muovessero gli ufficiali di bordo, fra i quali si possono contare, come si vedrà, non pochi autori di carte.

Se il testo della commissione definisce la griglia normativa, l'insieme delle regole giuridico-amministrative che governavano tale "sistema", gli aspetti pratici, le circostanze specifiche di ogni viaggio erano successivamente stabilite volta per volta con un contratto di nolo, il cosiddetto <<incanto di galere>>, ovvero un'asta pubblica che assegnava i noli alle migliori offerte. Vediamo così, ad esempio, come il testo di uno di tali <<incanti>> stabilisse che il <<patronus>> della muda, il suo <<capitaneus>>, venisse eletto in Maggior Consiglio <<per quatuor manus>>; egli doveva avere con sé un <<admiratus>> - il quale stava insieme al <<patronus>> sulla galera capitana con l'incarico di assisterlo in tutte le funzioni, ma soprattutto in quelle riguardanti la navigazione - tanti <<homines consilii>> quante erano le restanti galere - e l'<<homo da conseio>> aveva, sulla propria nave, le stesse funzioni che l'ammiraglio aveva su quella capitana - eventualmente un <<paron zurado>> (ufficiale di coperta), i <<ballistarios solitos, in quorum numero sint duo sclopeterii>> addetti alla difesa armata, un <<medicum phisicum de colegio medicorum>>, e infine <<omnes alios salariatos>> necessari all'impresa, fra i quali particolarmente importante era lo scrivano, una specie di pubblico ufficiale che aveva il compito di tenere il registro di tutte le merci che venivano caricate sulla nave da mercanti e marinai.

Nel viaggio di Barbaria del gennaio 1469, del quale tratta questo documento, era ad esempio previsto che il convoglio toccasse, oltre agli scali consueti di questa rotta, la città di Cartagine; le galee non potevano far sosta a Tunisi per meno di dieci giorni e per più di quindici; la <<muda>> era tenuta a far scalo nei porti di <<Tripolim, Buziam, Zer, Oranum, et One>>, ma poiché vi era sospetto che a Tripoli potesse quell'anno esservi qualche contagio morboso, il capitano poteva <<se levare de dicto loco pro salute mercatorum et hominum galearum, et pro securitate galearum et mercantiarum>>. Le galee dovevano recarsi ancora a Siracusa, ma non potevano imbarcare in questa città né spezie né cotone, e potevano toccare Malaga senza tuttavia risalire fino a Siviglia; potevano quindi recarsi a Valenza evitando però la sosta a Tortosa. Durante lo scalo a Valenza, ad esempio, potevano scendere a terra soltanto un ufficiale e un rematore al giorno per ogni galera. Durante il viaggio di andata il capitano doveva assoldare in Sicilia, per ciascuna nave, un pilota che avesse esperienza di navigazione nell'insidioso Golfo del Leone, <<eosque in galeis tenere usque reditum suum in Siciliam>>. Il documento prosegue elencando con la stessa meticolosità molti altri aspetti tecnici e commerciali della spedizione, a riprova del ristretto margine d'iniziativa lasciato ai responsabili della <<muda>>, in obbedienza al principio dell'organizzazione centralizzata e coordinata dei traffici commerciali pubblici.

L'iniziativa privata, che pure obbediva anch'essa a statuti e norme stabilite in maniera pressoché definitiva nel corso del secolo XIII, era invece affidata a padroni di nave - chiamati a loro volta <<patroni>> - che non appartenevano alla nobiltà e che erano spesso mercanti in proprio, oltre che noleggiatori della propria nave ad altri mercanti o a "consorzi" di mercanti dei quali potevano essi stessi far parte. La figura del marinaio-mercante era la figura centrale di questo sistema economico, sia al livello più alto degli investimenti più cospicui da parte di proprietari di cocche fornite di grande capacità di carico, sia al livello del semplice marinaio salariato e del rematore, che godevano del diritto di imbarcare in proprio una piccola quantità di merce da rivendere poi quando fossero tornati a Venezia.>>

(Estratto da: Piero Falchetta, Marinai mercanti, cartografi, pittori. Ricerche sulla cartografia nautica a Venezia (sec. XIV-XV), in "Ateneo Veneto", 1995, pp. 9-15)