Significato della veduta di Venezia e di altre vedute urbane a stampa

La frequenza con cui gli artisti del Medioevo e del primo Rinascimento sfruttavano le immagini geografiche per illustrare concetti ideali, e trasformavano in particolar modo le vedute urbane in emblemi di idee astratte, ci autorizza a pensare che le vedute di Francesco Rosselli e di Jacopo de' Barbari non fossero semplici documenti topografici, ma altresì veicoli di ulteriori significati astratti o concettuali. Le iscrizioni che si leggono su stampe anche molto più tarde dimostrano che le piante topografiche continuarono ancora nel secondo quarto del Cinquecento ad illustrare determinate idee o avvenimenti particolari.

Non occorre andar lontano per trovare conferma alla nostra ipotesi: sia la veduta di Roma di Rosselli, tramandataci dalla copia di Mantova, sia quella di Venezia di Jacopo sono corredate di iscrizioni. Quelle della veduta di Roma proclamano la grandezza del suo Impero e le sue origini leggendarie che risalgono fino a Troia. "QUANTA EGO IAM FUERIM SOLA RUINA DOCET" ("solo le rovine dimostrano quanto io fossi grande") recita il titulus al centro dell'immagine, e il concetto è ripreso e ampliato in un componimento poetico di quattordici righe che si legge in basso a destra, accanto alla figura del padre Tempo con la falce che tutto livella nota. Dove sono oggi i re, i consoli, i tribuni, i duci e i pretori di Roma, - è la domanda retorica che ci pone la scritta - dove sono gli archi, i templi, le statue, le terme, i teatri, i trofei e il bottino delle vittorie? Roma insegna - concludono i versi - che nessun luogo è eterno e solo le umane passioni non cambiano mai. E quindi la veduta appare concepita come un gigantesco ubi sunt.

Il messaggio che ci trasmette la Venezia di Jacopo è decisamente più positivo. Sulla città si libra la figura di Mercurio - il protettore dei commerci - circondato dalla scritta "MERCURIUS PRE CETERIS HUIC FAUSTE EMPORIIS ILLUSTRO" ("Io, Mercurio, rifulgo propizio su questo emporio che sopravanza tutti gli altri"). Più sotto si scorge Nettuno, signore dei mari, con la dicitura "AEQUORA TUENS PORTU RESIDEO HIC NEPTUNUS" ("Io, Nettuno, vivo qui mantenendo calme le acque in questo porto"). Gli dei non sono semplici aggiunte decorative all'immagine, bensì parti integranti del soggetto. È "a Venezia" che rifulge Mercurio e risiede Nettuno, e quindi il tema della stampa non è la semplice entità fisica della città, ma la comunità veneziana, prima potenza marittima e commerciale d'Europa. La sua reale configurazione urbana è esibita come concreta manifestazione della sua collettività, così come Mercurio e Nettuno incarnano i suoi numi tutelari. Come il leone di san Marco o la figura della Giustizia con la bilancia e la spada, così anche la stampa di Jacopo è una metafora visiva di Venezia, presentata come nazione trionfante, rettamente governata e posta sotto la divina protezione. Ma l'immagine che questo messaggio ci trasmette è tematicamente e formalmente più moderna e complessa dei simboli tradizionali della città. Le nozioni astratte intorno alla nazione che la stampa intende comunicarci si basano su valori profani piuttosto che spirituali, si esprimono nel linguaggio astro-mitologico degli umanisti notae si incarnano in forme di un naturalismo quasi ossessivo.

Le stampe di Francesco Rosselli e di Jacopo de' Barbari non furono le ultime vedute urbane "moralizzate". Gli incisori del primo Cinquecento ne produssero un numero abbastanza rilevante, ispirandosi talora, almeno in parte, proprio agli esempi di Rosselli o di Jacopo. Ma si tratta di opere rarissime, di cui spesso non possediamo che uno o due esemplari, studiate fino ad ora - quasi esclusivamente sotto il profilo formale - dai cultori della storia locale delle città rappresentate o dai compilatori di cataloghi ragionati di incisioni. Solo pochissimi studiosi le hanno considerate come un gruppo omogeneo e nessuno si è mai preoccupato di leggerne le didascalie. Ma se ci soffermiamo sui loro contenuti, risulta chiaro che anche queste stampe hanno continuato fino alla fine del quarto decennio del Cinquecento ad illustrare idee astratte o avvenimenti d'attualità.

Esiste, per esempio, un'anonima veduta frontale di Anversa del 1515, incisa su legno come quella di Jacopo, e forse ispirata proprio a quest'ultima, in quanto presenta la città come una fonte di prosperità e di ricchezza nota. È intitolata "ANTVERPIA MERCATORUM EMPORIUM" ("Anversa emporio di mercanti") e vi sono raffigurati, sopra la città, gli dei del commercio e della fertilità, Mercurio e Vertumno. La splendida veduta a volo d'uccello di Augusta, incisa su legno dai disegni di Jörg Seld e pubblicata nel 1521 figura, ha anch'essa - a giudicare dalle sue due scritte - un duplice significato nota. Sul cartiglio più grande, in alto a destra, si legge la lunga storia del patrocinio imperiale sulla città e si invoca su Augusta la protezione di Dio, dell'imperatore Carlo V e del Sacro Romano Impero. In basso a sinistra, un'altra scritta più breve offre la stampa in dono a quanti hanno nostalgia della città, o bramano conoscerla perché attratti dalla sua fama, acciocché soddisfino il loro desiderio saziandosi gli occhi con la sua immagine nota. Il primo testo pare quasi una dedica di tipo medievale, che consacra la città in effigie al suo santo patrono, mentre il secondo suggerisce il concetto che la stampa equivalga alla città stessa e ne comprenda l'intera essenza. Ma nessuno dei due contiene la benché minima allusione al fatto che la veduta costituisce un'immagine fedele dell'aspetto reale di Augusta.

Un'altra gigantesca silografia, la veduta frontale di Colonia di Anton Woensam, è anch'essa qualcosa di più di un semplice ritratto topografico nota. Fu pubblicata per commemorare l'elezione - avvenuta a Colonia il 5 gennaio 1531 - di Ferdinando d'Asburgo a re dei Romani e la sua incoronazione ad Aquisgrana. È dedicata congiuntamente al nuovo eletto, all'imperatore, all'arcivescovo di Colonia, ai principi e agli Elettori dell'Impero, al Senato della città. Settantaquattro scritte, disseminate sulla veduta, vantano le antichissime origini di Colonia e ne identificano le chiese e le porte d'accesso principali. Un testo tipografico di quaranta colonne, lungo il bordo inferiore della stampa, contiene la dedica, un elenco delle chiese e dei monasteri, e un elegante componimento poetico di 308 esametri latini - opera dell'umanista Hermann von Busch - che canta i pregi di Colonia: la sua antichità, l'abbondanza di belle architetture, il numero infinito di strade affollate e di mercati, la religiosità e la quantità di reliquie, la prosperità, la civiltà, l'industriosità, i meriti sportivi e culturali, il fascino che esercitava sugli studenti di ogni nazione e la saggezza del suo governo. Non si accampa alcuna pretesa che la veduta "significhi" tutte queste qualità, ma l'importanza delle scritte - la loro stessa lunghezza e quantità, lo spazio che esse occupano - lascia pensare che l'immagine sia stata concepita come la quintessenza sociale, storica e spirituale della città imperiale di Colonia. È significativo che uno storico dell'arte, ignaro della lunga tradizione delle vedute emblematiche, abbia affermato di recente che la stampa gli ricordava proprio un emblema o uno stemma nota.

Fra le vedute motivate da eventi di attualità si annoverano le raffigurazioni di località rese celebri da imprese militari e disastri naturali. La conquista del Messico diede spunto alla pubblicazione, nel 1524, di una veduta della capitale azteca: Tenochtitlan, l'odierna Città del Messico figura nota. Accanto ad una planimetria del golfo del Messico è posta la veduta della grande città insulare, lambita dalle acque del lago di Texcoco e incorniciata dai suoi sobborghi sulla terraferma. La stranissima immagine è proiettata in maniera centrifuga, dal centro verso ogni grado dell'orizzonte, secondo quella che sarebbe stata una convenzione cartografica messicana. Tuttavia, i particolari topografici sono di impronta tedesca: le colline coperte di vegetazione, le casupole raggruppate ai piedi di torri merlate. La veduta è un ibrido, la prima delle vedute "ad occhio di pesce", che godettero di una breve voga fra gli incisori tedeschi durante il secondo quarto del Cinquecento. Ma il significato della veduta non si esaurisce nell'ingegnosa rappresentazione della città esotica. Sopra uno dei sobborghi sventola il vessillo imperiale, e accanto si legge la morale della raffigurazione: l'impero che dominava fino ai confini più lontani del mondo è ora passato sotto il dominio dell'impero ancor più vasto di Carlo V nota.

La proiezione ad occhio di pesce fu ripresa nel 1530 da Hans Sebald Beham, nella veduta silografica dell'assedio turco di Vienna, edita da Nicolas Meldemann figura nota. L'iscrizione la vanta come una raffigurazione esatta, non della città, ma de "L'assedio della città di Vienna, come si vide tutt'attorno la città, per acqua e per terra, dalla alta torre di Santo Stefano".

La stessa motivazione fu dichiarata da Erhard Schon per la sua silografia del 1529 nota. Si tratta di una copia, ingrandita ed articolata di combattenti, della veduta di Vienna della cronaca norimberghese, che l'artista definisce nel titolo del testo annesso: "Storia dell'assedio dei turchi alla città di Vienna".

Altre vedute d'attualità raffigurano l'assedio di Rodi (1522), inciso da Giovanni Andrea Vavassore e da Hans Sebald Beham nota. La presa di Tunisi da parte degli imperiali, del 1535, venne illustrata dallo Schon in una veduta a volo d'uccello della città, mentre l'eruzione vulcanica di Pozzuoli del 1538 è ricordata da un'incisione del Maestro de la Chausse Trappe nota.

Prima del quinto decennio del Cinquecento non troviamo alcuna stampa pubblicata con il solo scopo di riprodurre fedelmente l'aspetto di una determinata città. Un'opera di questo tipo - la planimetria di Vienna di Augustin Hirschvogel - costituisce un caso a parte nota. L'autore l'ha derivata da una sua pianta delle fortificazioni della città, eseguita nel 1547 per scopi militari. La nuova versione, all'acquaforte, venne pubblicata in quello stesso anno per fare pubblicità - come avverte la didascalia - alle nuove tecniche usate dall'Hirschvogel per il rilievo topografico. Altre vedute a stampa di quegli stessi anni sembrano invece finalmente del tutto prive di significati o motivi reconditi. La veduta a volo d'uccello di Amsterdam di Cornelis Antoniszoon, del 1544, è dedicata all'imperatore, al Consiglio comunale e "a tutti gli amanti dell'arte" nota. La veduta silografica ad occhio di pesce di Strasburgo, incisa nel 1548 dal monogrammista M. H. da un disegno di Conrad Morant, è dedicata alla fama della città e "al particolare godimento di tutti gli artisti della nazione tedesca" figura nota. La grande veduta a volo d'uccello del Cairo di Giovanni Domenico Zorzi, pubblicata a Venezia nel 1549 da Matteo Pagan e accompagnata da una lunga descrizione della città di Guillaume Postel, è intitolata semplicemente "LA VERA DESCRIZIONE DE LA GRAN CITA DEL CAIRO" nota. In tutti questi casi la bellezza o l'interesse del soggetto e la piacevolezza dell'immagine bastano da soli a giustificare la creazione della veduta e nel decennio successivo questa tendenza si andrà ormai generalizzando. La veduta a volo d'uccello di Genova, incisa all'acquaforte nel 1553 da Anton van den Wyngaerde, reca la scritta: "Fra tutti quei piaceri che la delettevole e artificiosa pittura ha in sé non v'è nisuna che più io stimi, che la descrizzione di luochi [...]" figura nota.

Come le vedute, dipinte o incise, della fine del XV secolo e degli inizi del XVI, esaminate fino ad ora, così anche la Venezia di Jacopo esprimeva un concetto astratto attraverso un'immagine realistica, particolareggiata ed esatta. Se questo era il suo significato, resta però ancora da chiarire a cosa esattamente servisse. Abbiamo solo la spiegazione dell'editore, Anton Kolb, che affermava di aver stampato la veduta "principalmente ad fama de questa excelsa cita de Venetia" nota: una frase che reintroduce una volta di più il concetto umanistico di fama, già invocato in altre due incisioni degli inizi del XVI secolo, le vedute di Augusta e di Strasburgo di Jörg Seld e Conrad Morant. Non è quindi improbabile che anche la veduta di Jacopo avesse proprio un fine celebrativo, anche se continuiamo ad ignorare le circostanze che hanno indotto Kolb e Jacopo ad onorare in questo modo la Serenissima. Auguriamoci che la scoperta di nuovi documenti o notizie possa infine far luce sul principale interrogativo che adombra ancora le origini di quest'opera splendida.